Le nuove “scienze dell’anima”, da Previati a Boccioni.
All’alba della modernità, quando scienziati e letterati facevano a gara per sondare la psiche umana, alcuni artisti inquieti e visionari sperimentarono linguaggi visivi inediti, capaci di schiudere i regni dell’immaginazione e del sogno e far risuonare la voce degli stati d’animo.
L’affascinante mostra a Palazzo dei Diamanti esplora quelle tendenze innovative e utopistiche che, tra Otto e Novecento, portarono nell’opera d’arte le vibrazioni emotive e i fantasmi della coscienza moderna, mettendo in gioco la sensibilità stessa dell’osservatore.
Ne sono protagonisti con i loro capolavori alcuni tra i più originali interpreti della scena artistica italiana tra Divisionismo, Simbolismo, Futurismo, come Giovanni Segantini, Gaetano Previati, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Angelo Morbelli, Medardo Rosso, Giacomo Balla, Giorgio de Chirico, Umberto Boccioni e Carlo Carrà. In mostra alcune delle loro creazioni più avanzate dialogheranno con opere di grandi esponenti del Simbolismo europeo e le sue testimonianze del dibattito scientifico e culturale del tempo, per condurre il visitatore in un viaggio negli insondati luoghi dell’anima fin de siècle.
Il racconto ha origine dal clima di profondi rivolgimenti di fine Ottocento: l’eco della rivoluzione Darwiniana e delle nuove “scienze dell’anima” contribuisce ad accendere negli artisti l’interesse per l’introspezione psicologica e per le dinamiche dei sentimenti, da cui scaturiscono, ad esempio, i ritratti allucinati e magnetici di Segantini e Pellizza da Volpedo e le grandi tele con cui Previati e Morbelli rivisitano in una chiave attuale e coinvolgente i temi cari ai pittori preraffaelliti e ai “poeti maledetti”. Di qui il percorso si addentra in un itinerario tematico, tra luci e ombre, attraverso gli stati d’animo a cui gli artisti italiani ed europei hanno dato forma visiva, traendo ispirazione dall’immaginario scientifico e da una cultura intrisa di misticismo ed esoterismo: dalla melanconia all’abbandono fantastico nella rêverie, dall’abisso della paura alla liberazione degli istinti sessuali, fino al rapimento estatico dell’amore e alla sublimazione nei sentimenti di pace e armonia universale.
La ricerca di un alfabeto delle emozioni si affianca ad una incessante sperimentazione di procedimenti tecnici, sfociando nella rarefazione formale dei capolavori maturi di Previati, Pellizza e Medardo Rosso, che appaiono tessuti della stessa materia della luce, al punto che, come osserva Boccioni a proposito del primo, «le forme cominciano a parlare come musica, i corpi aspirano a farsi atmosfera, spirito e il soggetto è già pronto a trasformarsi in istato d’animo».
L’epilogo dell’esposizione è orchestrato appunto attorno al capolavoro di Boccioni che dà il titolo alla mostra, il trittico degli Stati d’animo, icona della sensitività moderna protesa verso un campo di forze invisibili. Con uno sguardo radicalmente nuovo, sintesi polifonica di linee e colori, corpi e atmosfera, i giovani futuristi aspirano a porre «lo spettatore nel centro del quadro», trascinandolo nella dinamica delle emozioni e nel ritmo esaltante della metropoli di primo Novecento.